James Pettifer (intervista)

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James Pettifer è professore all’Università di Oxford nella facoltà di Storia. I suoi contributi sono apparsi sul “Times” di Londra e sul “The Wall Street Journal” ed è stato ricercatore presso l’Università di Princeton, in New Jersey, USA. Riconosciuto come autore a livello internazionale per i suoi testi sulla regione dei Balcani del sud. Qui lo intervisto riguardo il suo libro, Bruce Springsteen & Atlantic City edito in Italia da Odoya, 2019.

La ringrazio di essere qui su Music in progresses. Vorrei iniziare parlando della gestazione del suo libro, ci sono voluti dieci anni prima che vedesse la stampa, perché?

Scrivere la storia contemporanea è spesso difficile in quanto non sei mai sicuro come distinguere tra i diversi eventi e valutare la loro rilevanza. Ed è stato necessario del tempo per capire le crisi che incombevano sugli Stati Uniti come quella bancaria e la crisi finanziaria che stava iniziando a svilupparsi. Ci è voluto anche del tempo per realizzare quanto fossi stato fortunato e privilegiato nel vedere il Boss e la E Street Band in tour – è stata un’esperienza potente essere in New Jersey mentre tutto stava accadendo, eppure c’è stato anche un lato tristemente tragico. Penso che le persone fossero consapevoli che quello sarebbe stato l’ultimo tour con la E Street Band al completo. Era ampiamente noto che a Princeton e in New Jersey almeno uno dei membri della band fosse seriamente malato.

Come mai un geopolitico di fama internazionale ha deciso di scrivere un libro su Bruce Springsteen? L’idea è decisamente intrigante e vorrei proprio che approfondisse la questione.

La musica era una metafora di quello che, agli occhi di un accademico britannico in visita, mi sembrava stesse accadendo nella società americana dovute alle difficoltà che la guerra in Iraq aveva causato. Inoltre, un cospicuo numero di grandi accademici ha scritto sulla musica rock. Alcuni miei colleghi di Princeton sono stati e rappresentano tutt’oggi un’autorità internazionale su Bob Dylan, per esempio, e poi su di lui sono stati scritti grandi libri; oppure l’ottimo libro di una classicista dell’università della California, la formidabile Helen Morales, su Dolly Parton; ma anche la montagna di libri scritti su Elvis, sui Beatles, e molti altri; come anche i film, tra cui il meraviglioso film di Martin Scorsese sui Rolling Stone.

Meet You in Atlantic City Travels in Springsteen’s New Jersey si apre in un momento politico specifico: nel 2007 George W. Bush Jr. stava per lasciare la presidenza e Obama diveniva il primo presidente afroamericano degli USA. Avendo rivisto il libro prima della pubblicazione è riuscito a cogliere il nuovo sentore americano dell’avvento di Trump; da geopolitico, brevemente, potrebbe dirci cosa è cambiato davvero?

Io pensavo, e continuo ancora a pensarlo, che solo due persone potevano essere elette in New Jersey in quelle elezioni: Bernie Sanders o Donald Trump. Hillary Clinton si trovava in un intenso problema politico ma i democratici non volevano vedere cosa stava succedendo davanti ai loro occhi.

Come si evince dal suo testo, Bruce Springsteen è ben radicato nel territorio del New Jersey e, a differenza di molte altre star della musica, non fa mistero del suo attaccamento; questo lo rende diverso?

È solo che lui è davvero un uomo onesto ed è onesto riguardo le sue radici culturali e su chi è in un modo che molte star non sono.

Springsteen ha la particolarità, tra quasi tutte le rockstar, di associare testi profondi e socialmente importanti tipici del cantautorato a musicalità e melodie travolgenti di semplice rock n roll: quanto crede abbia influenzato il suo successo questa sua caratteristica?

Molto, ovviamente.

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Lennon, scrivendo “Happy Christmas”, disse di aver voluto inserire un po’ di miele sulla pillola della sua protesta sul Vietnam, così da renderla più commestibile. È possibile che un approccio mainstream, nella musica del Boss, sia servito a veicolare messaggi profondi a più persone?

Buona domanda. Ci sono stati dei dibattiti a Princeton quando l’album Magic uscì nel 2007 riguardo il fatto che la critica sociale si Springsteen fosse stata troppo indiretta. Io penso sia duro, difficile. Le potenti metafore contenute in alcune canzoni potrebbero aver influenzato molte più persone di quanto un approccio diretto avrebbe potuto fare.

Credo che assistere a un concerto di una grande star che sappia intrattenere gli astanti, sia qualcosa di ricollegabile alla mitologia insieme a importanti implicazioni sociologiche e antropologiche; crede sia così? Com’è stato per lei assistere al tour di magic?

È per questo che ho scritto il mio libro. Certo che sì, ovviamente.

Avevo delle opinioni sull’identità culturale di Bruce Springsteen che il suo libro ha contribuito a rafforzare; è possibile dire che il New Jersey e Springsteen si sono influenzati, plasmati e cambiati vicendevolmente in un rapporto paritario e biunivoco?

Spero che abbia fortificato la comprensione della dialettica che c’è tra un grande cantante rock e la sua band. Risulta terribilmente importante, in particolare perché all’epoca tutti sapevano che quella composizione della E Street Band non sarebbe più stata la stessa.

Il suo è un libro che, come dico anche nella recensione, è una commistione di più generi, affronta l’argomento da angolazioni particolari ricollegandosi ai miti, Platone, alla storia degli USA e di Atlantic City, e ne tira fuori alcuni aspetti davvero interessanti; come è nato questo approccio?

Molta filosofia, in un certo senso, è solo una nota su Platone, come Iris Murdoch penso abbia detto. Io penso che quello che accade in un concerto rock sia simile al mito della caverna ne La Repubblica. Ho spiegato perché penso questo nella narrativa del libro. C’è un sottotesto narrativo nel libro riguardo il modo in cui i matematici si sono allontanati troppo dalla filosofia.

Con il premio Nobel per la letteratura assegnato a Bob Dylan e un premio letterario prestigioso a Kendrik Lamar, crede sia possibile che Springsteen possa ambire anch’egli al Pulitzer? Pochi hanno saputo raccontare l’america in maniera più vivida e schietta.

Ne sono certo. Ma Bruce non è molto popolare per tutti, certamente no per l’amministrazione odierna a Washington. Dovremmo aspettare e sapere cosa accade.

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