Simo

J.D. Simo

02-11-2016

In occasione dell’unica data italiana dei SIMO, abbiamo conosciuto meglio il bluesman americano JD Simo e il suo trio. Nel dettaglio, abbiamo fatto due chiacchiere sul nuovo album in cantiere, su amicizie (Joe Bonamassa) e collaborazioni (Jack White) ma sopratutto sull’evoluzione della band.

Ciao ragazzi e benvenuti. Prima di tutto come state? Siete in tour al momento e sarete presto in Italia. Come sta andando? Siete felice di essere tornati on the road?

Ciao, è bello essere qui. Stiamo bene, abbiamo appena iniziato il tour europeo, infatti siamo in Germania e sta andando molto bene. Sono felice di essere tornato on the road ma sai, non abbiamo avuto neanche una pausa, stiamo lavorando da gennaio di quest’anno con un programma molto serrato. Siamo già molto avanti con i lavori per il nostro prossimo album, quindi non siamo ancora riusciti ad avere una pausa degna di questo nome, ma siamo felici di essere di nuovo in Europa.

Questo album ha un retroterra ambizioso: JD utilizzerà la mitica chitarra di Duane Allman (la Les Paul ’57 goldtop) e avete registrato l’abum in una delle basi storiche degli Allman Brothers Band. Com’è stato? Soprattutto per un chitarrista trovarsi a confrontarsi con entità come Duane, Betts, Trucks O Haynes? Deve essere stato eccitante!

È fighissimo lavorare nella loro casa e suonare la chitarra di Duane, l’avevo già suonata in realtà, il proprietario è un mio buon amico, ovviamente è molto figo suonare con un pezzo di storia in mano però d’altro canto, visto che devi creare la tua musica, puoi solo chiudere gli occhi e suonare, non hai molto tempo per pensarci più di tanto, divertimento a parte.

Siete una band che da il meglio di se in live. Quali sono le sensazioni che provate su un palco e non in studio?

Direi che la sensazione è quasi la stessa, sia essere sul palco che in studio, per me fare musica è felicità e divertimento, sì a volte può essere frustrante, comunque non sento una grande differenza tra le due situazioni. Certamente sono estremamente differenti ma penso che quando si tratta di suonare e cantare, le mie sensazioni sono più o meno le stesse.

Siete approdati alla Mascott Label grazie ad una crociera organizzata da Joe Bonamassa? Volete raccontarci l’esperienza?

È molto divertente. Joe e io siamo ottimi amici e lui ci ha praticamente raccomandati al presidente della label. All’epoca avevamo avuto altre offerte da un paio di diverse etichette ma siamo finiti a firmare con la Mascott ed è stata un’ottima cosa perché stiamo avendo una relazione davvero soddisfacente, gli vogliamo molto bene. Confermo, è una figata. Sono stato molto riconoscente a Joe per questo.

Vi siete esibiti con il poliedrico Jack White. Avete qualche particolare aneddoto da narrarci?

Ho lavorato con Jack un giorno in studio per il nuovo album di Beyoncè, sono rimasto molto contento, è accaduto qualche anno fa. Successivamente mi ha casualmente chiamato ed ero disponibile, il che è stato una fortuna perché probabilmente se non fossi stato libero non mi avrebbe più richiamato. Del lavoro con Jack posso dire che sono un suo grande fan e ho apprezzato molto questa opportunità. Sono entrato ed uscito dallo studio con il rispetto e la stima che avevo per lui completamente intatte, nel senso che ho potuto constatare che è un bravissimo produttore e musicista, è una persona molto creativa ed è stato un piacere lavorare con lui. Ci siamo divertiti tantissimo.

Come siete riusciti a farvi largo in una realtà così competitiva come quella di Nashville, oggi considerata la capitale della musica negli States?

Non saprei. Nashville è una città estremamente competitiva, il bacino di musicisti è davvero molto ampio e penso che sia necessario lavorare duro per risaltare. In realtà noi non ci pensiamo più di tanto, non ce ne preoccupiamo. Stare a Nashville è grande perché ti costringe ad essere grande, per sopravvivere. Nessuna band sarebbe mai riuscita a sopravvivere senza aver puntato molto in alto e lavorato sodo per arrivarci. Molte band hanno beneficiato di questo tipo di pressione e noi di sicuro ne siamo l’esempio.

Nel 2014 Frank Swart è uscito dal gruppo. Questo come ha cambiato le vostre abitudini compositive e/o sul palco?

Frank ha lasciato la band ormai da un po’ e devo dire che alla fine la cosa non ha cambiato più di tanto alla lunga. Nell’immediato si, è stato un colpo, in quegli anni però non eravamo così avanti, ci limitavamo a stare a Nashville, suonare nei locali del sud. Solo un anno e mezzo fa circa abbiamo ottenuto un management degno di questo nome e abbiamo firmato un contratto discografico, iniziato i tour a livello nazionale e internazionale, insomma abbiamo davvero dato il via alla nostra carriera. Quindi tutti i cambiamenti veri sono avvenuti quando Frank ci ha lasciato, lui è stato con noi praticamente solo all’inizio quando la band era poco più che un hobby, al contrario di ciò che è adesso. Non penso che sia cambiato più di tanto a causa della sua uscita dalla band, di sicuro è stato triste, è un nostro amico. Ma è stato proprio quando ci ha lasciato che le cose si sono fatte serie, non che questo sia stata una conseguenza della sua uscita dal gruppo.

La tua musica è molto basata sull’improvvisazione. Pensi che questa sia la vera essenza di un musicista e il proprio maggior livello espressivo?

L’improvvisazione è importante fino a un certo punto, credo che l’essenza di un vero musicista sia la sua anima, qualsiasi cosa voglia esprimere. Penso che quando parli di un livello più alto di espressione sia semplicemente qualsiasi cosa un musicista riesca a tirare fuori. La nostra musica sta crescendo molto e l’elemento improvvisazione sarà sempre importante, ma il nostro stile sta diventando sempre più basato sulle canzoni ora, perché è una sfida e vogliamo provare a coglierla registrando le nostre canzoni. Ritengo che sia un processo molto naturale. Per quanto riguarda il più alto livello di espressione, è quello verso cui ci spingiamo giorno dopo giorno, perché vuoi essere più “esposto” possibile al pubblico, mostrare la parte più intima di te, senza filtri e credo che la cosa semplicemente arrivi col tempo.

Considerando il vostro modo di esibirvi, quanto è importante sentirvi a vostro agio tra voi membri del trio?

In qualsiasi band, che sia o meno un trio, non puoi fare musica se non ti senti a tuo agio con gli altri e non penso proprio che sia possibile creare una connessione, c’è o non c’è, punto. Se la connessione c’è allora è su quella che andrai a lavorare per creare musica. Ma dovrebbe essere tutto molto naturale, più pianifichi, sterilizzi, metti paletti e peggio è il risultato. Se hai una connessione con altri musicisti, tutto viene da se. Stare in una band 250 giorni all’anno, se non di più, ti fa capire quanto sia importante la comunicazione, lavorare sui problemi per risolverli, vivere con loro… è come un matrimonio. La chiave è essere onesti e aperti, non lasciare che i risentimenti si annidino sotto la superficie e creino contrasti interni, parlare, insieme e tirare fuori quello che va tirato fuori. Senza tutto questo non puoi andare ogni sera sul palco e suonare.

L’intervista è finita e ti ringrazio molto per il tempo che ci hai dedicato. Se ti va puoi lasciare un messaggio ai fan italiani!

Grazie a voi per l’intervista e vorrei ringraziare tutti i fan lì in Italia che stanno ascoltando la nostra musica e che verranno a vederci. Grazie in anticipo e spero che veniate, sarà una grande serata e non vediamo l’ora. Ancora grazie e speriamo di vederci presto.

Si ringrazia Isadora Troiano per la collaborazione.

Articolo precedentemente comparso su Spaziorock

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